Cosa abbia indotto l'autore di HEATH AND DUST ad imbarcarsi per questa galera rimane un bel mistero. Raffinato e distante, minuzioso e sensuale, colui che è stato definito il più britannico dei cineasti americani si è da sempre votato ai fasti coloniali dell'impero di Sua Maestà, o alle trasgressioni più o meno velate dell'Inghilterra vittoriana: qui sbarca nella New York più impossibile, quella dei pittori del Village, degli intellettuali da party psichedelici, delle pupe svitate messe in circolazione da Madonna e Paul Mazursky.
Il risultato è sconsolante. Non che sia mal girato, o mal interpretato: Ivory rimane un pittore d'ambiente (non per nulla è nato decoratore) che sa il fatto suo.
Ma tutto è datato, tipato, improbabile. Non nel senso di poco probabile, che non sarebbe poi un gran guaio. Ma per quel genere di sottolineatura stilistica che rende il tutto assolutamente, pateticamente inimportante.
A cominciare dai personaggi. Che dell'epoca non ce ne importi niente, passi. Ma che succeda con loro è già più grave.